Pubblicità
Diffondi Informazione!
Avvocato Carlo Alberto Zaina - Convenzione di consulenza e difesa penale specialista dpr 309/90

Perchè propongo di abrogare gli ARTT. 75 e 75 BIS del DPR 309/90 – Punire amministrativamente l’uso personale è una scelta etica

Pubblicità
Pubblicità

APPROFONDIMENTO PROPOSTA DI LEGGE STUPEFACENTI COMPLESSIVA

Pubblicità
Pubblicità
Pubblicità

PREMESSA

Pubblicità

Ritengo che il regime delle sanzioni amministrative sia non solo inefficace e sproporzionatamente punitivo, ma che rifletta di una visione etica negativa, che invade la sfera di autodeterminazione della persona.
Desidero precisare – con chiarezza – che io sono contrario alla legalizzazione tout court, non ho mai fatto uso di sostanze psicoattive, ma credo che risulti libertà inviolabile del cittadino quella di operare scelte autonome, quando queste non influiscono sulla sfera privata di terzi.
Il consumo privato e personale non deve essere sanzionato in alcun modo, fermo che, invece, il consumatore deve assumersi ogni responsabilità per ogni proprio comportamento pubblico e di relazione con gli altri.

***

Esiste un doppio binario sanzionatorio, in relazione alle varie condotte che il DPR 309/90 classifica come, comunque, illecite.
Da un lato, l’art. 73 comma 1 prevede tutte quelle azioni ritenute già di per sé reato e, quindi, sanzionate penalmente dallo stesso comma – in relazione alle droghe pesanti – oltre che, specificatamente, dai commi 4 e 5 – per le droghe leggere e per i fatti di lieve entità – (coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo).
Da altro lato, l’art. 75 comma 1 individua, a propria volta, alcune condotte (importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene), escluse da contesto di penale rilevanza, ma, comunque, ritenute di per sé illecite, perché prive dell’autorizzazione prevista dall’art. 17 DPR 309/90.
Questi comportamenti vengono ricompresi dal legislatore nella sola categoria degli illeciti amministrativi, ove risulti che essi siano finalizzati all’uso personale – così come definito dal successivo comma 1 bis -.
Credo che soffermarsi analiticamente sulla ratio che sottende la rilevanza penale delle condotte descritte dall’art. 73 comma 1, sia esercizio assolutamente inutile, attesa l’evidenza della stessa.
Sia, comunque, sufficiente osservare che il sistema sanzionatorio, previsto dal dpr 309/90, (ed ancor prima dalla L. 685/75) è stato concepito per punire, “chiunque” in qualsiasi modo – con la propria azione – favorisca l’ampliamento della platea dei destinatari dell’uso delle sostanze psicoattive, con loro maggiore diffusione e, di conseguenza – così operando -, crei una situazione di grave minaccia alla salute dei cittadini.
Dunque, il bene giuridico che la norma incriminatrice citata viene presidiare appare di duplice indirizzo – salute pubblica e difesa sociale -.
Tra i due, però, appare del tutto preminente il motivo rinvenibile “nella sicurezza e nell’ordine pubblico (in tal senso si è pure espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 333/1991), nonché nella salvaguardia delle giovani generazioni, e può sicuramente affermarsi che l’implemento del mercato degli stupefacenti costituisce anche causa di turbativa per l’ordine pubblico e di allarme sociale” (cfr. . Cass. SSUU 21.9.1998, Kremi e SSUU 10.7.2008, N. 28605 DSV).
Pur non ricadendo, quindi, sotto la ghigliottina della sanzione penale, il consumo (e le condotte ad esso propedeutiche) viene punito, comunque, in via amministrativa (attraverso il sistema degli artt. 75 e 75 bis) e, pertanto, costituisce, comunque, un illecito – anche se non penale – .
Ciò posto, ritengo utile ed interessante sviluppare una riflessione sui motivi della forma di sanzionabilità delle condotte concernenti l’uso personale di sostanze stupefacenti.
Tale scelta sembrerebbe, quindi, costituire una diretta, quanto esclusiva, evoluzione (od involuzione a seconda dei punti di vista) di giudizi negativi – di estrazione puramente etica – riguardanti il consumo si sostanze stupefacenti.
Intendo, così, dimostrare la contraddittorietà e la incompatibilità – rispetto alla teleologia di base dell’impianto normativo penale del DPR 309/90 – della scelta di sanzionare, anche solo amministrativamente, comportamenti connotati dal fine dell’uso personale delle sostanze in questione.
Uno degli argomenti che è stato costantemente opposto alle proposte di desanzionalizzazione e/o di legalizzazione di alcune specifiche condotte che presentano un’intima correlazione con l’uso personale di sostanze stupefacenti – in special modo la detenzione e la coltivazione di cannabis – riposa nel conclamato disvalore etico e morale che caratterizzerebbe il consumo e l’assunzione delle stesse.
L’inserimento della condotta detentiva (alla quale vanno aggiunte l’importazione, l’esportazione e l’acquisto) nel novero dei comportamenti – comunque – illeciti, anche se finalizzata o propedeutica al consumo personale, viene motivato come proiezione in diritto di quel precetto etico, in base al quale per la collettività risulta inammissibile accettare che il singolo possa fare liberamente uso di sostanze stupefacenti, anche se egli consumi in forma di piena libertà ed autodeterminazione personale.
Coloro che si assestano su tale rigida posizione evocano, sul piano giuridico, quei principi costituzionali di tutela della salute (art. 32 Cost.) e di difesa dell’ ordine pubblico, peraltro, già oggetto di tutela penale
Va, però, detto che queste argomentazioni giuridiche risultano applicabili e circoscrivibili solo a quei comportamenti-delitti, che attengono al vero e proprio traffico degli stupefacenti (qualunque siano le dimensioni dello stesso).
Vale a dire che esse giustificano le scelte repressive e di contrasto rispetto a quelle forme criminose e delinquenziali, poste in essere non già dall’assuntore-consumatore, bensì da coloro che traggono dal fenomeno criminale in questione i loro ricavi.
Il consumatore-assuntore (e vedremo anche il coltivatore) notoriamente, non persegue, affatto, il fine della diffusione dello stupefacente, perché, invero, egli è il destinatario finale e l’usuario del prodotto.
Egli, cioè, costituisce la stazione di arrivo terminale del percorso di circolazione delle sostanze stupefacenti.
Ne consegue, pertanto, senza dovere troppo analizzare il fenomeno, che la volontà della persona che assume – naturale prodromo della successiva condotta materiale – è diretta ad un consumo puramente personale, opzione che esclude il fine di cedere a terzi e di allargare lo spettro di destinazione della sostanza posseduta.
Dunque, siamo dinanzi ad una volontà del consumatore – quella dell’uso personale – che appare del tutto coerente ed armonica con lo spirito della legge vigente.
La destinazione al consumo personale dello stupefacente assume, quindi, carattere di causa di giustificazione di natura assoluta – e non solo penalmente rilevante – di tutte quelle condotte che si possano con essa coniugare.
L’accertamento positivo del fine personale della condotta, ad avviso di chi scrive – ove raggiunto – esclude, pertanto, in toto il concetto di antigiuridicità, inteso nel senso di “generale contrasto tra un fatto e una norma giuridica”, senza divenire causa di giustificazione (istituto che importa l’inversione dell’onere della prova, che deve rimanere a carico della pubblica accusa).
Né, proprio per le ragioni appena esposte e per il fatto che il nostro ordinamento non è improntato al principio di legalità sostanziale, si può legittimamente sostenere che si possa evocare, residualmente, la operatività di una forma di antigiuridicità materiale, i cui criteri di accertamento afferiscono per lo più alla sfera dei valori etico-sociali.
Ecco, quindi, che i presupposti di carattere etico, che spingono per la sanzionabilità di una condotta, siccome sgradita e non condivisa sul piano strettamente morale, vengono a perdere ogni tipo di propulsività in punto di diritto.
Quanto al bene della tutela della salute individuale e collettiva, si rileva in tutta evidenza che tale precetto costituzionale, di carattere sociale, introduce con l’art. 32 Cost. (che recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana) – un obbligo unilaterale di difesa del cittadino singolo e di gruppi di cittadini, a carico dello Stato.
Il limite di tale forma di intervento sia preventivo, che precettivo, che lenitivo, riposa, però, nell’intangibilità della sfera di autodeterminazione del singolo cittadino.
Pur ritenendo che l’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicoattive può risultare nocivo per il consumatore (anche se con precisi distinguo del caso, sostanza per sostanza), lo Stato non può (e non deve) intervenire nella sfera privata decisionale del cittadino, limitando la di lui capacità di valutare e di gestire scelte che attengono al proprio ambito.
Non può e non deve lo Stato dare corso all’esecuzione giuridica e giudiziaria – per il tramite dello strumento normativo (nella specie gli artt. 75 e 75 bis dpr 309/90) – di quei precetti puramente etici, che non possono (e non devono) influenzare – in subjecta materia – le scelte legislative.
Né si può seriamente sostenere che, così facendo, lo Stato azioni poteri, adempiendo ad oneri che gli derivano da principi di rango costituzionale.
E’ palese che, per la lettera e per lo spirito della disposizione costituzionale in parola, il cittadino (o la collettività) è il soggetto portatore di un diritto alla tutela della salute di cui è responsabile lo Stato.
Ciò significa, che, in virtù di una visione solidaristica e sociale dell’ordinamento, è lo Stato ad essere obbligato a promuovere ogni opportuna iniziativa e ad adottare precisi comportamenti finalizzati alla migliore tutela possibile della salute in termini di generalità e di globalità.
L’intervento pubblico non potrà, però, mai indebitamente invadere la sfera del privata del cittadino, comprimendo od ablando la libertà di quest’ultimo di autodeterminarsi.
Il cittadino, nella propria individualità (o anche quale esponente di forme comunitarie), non può, quindi, vedere compressa la propria aspirazione alla piena libertà di operare scelte che si esauriscano nella sfera privatistica, anche se queste scelte dovessero rivelarsi per lui dannose.
In questo quadro, nel quale emergono istanze reciprocamente opposte – la libertà del singolo e della collettività a fronte dei doveri di intervento generale dello Stato – appare evidente che una condotta individuale (come il consumo di una sostanza stupefacente) che si svolga e che si esaurisca nel contesto puramente privatistico della sfera dell’agente, senza coinvolgere in alcun modo terze persone, non può essere classificata come illecita, solo perché giudicata come contraria alla morale pubblica, o perché astrattamente foriera di minacce alla salute .
E’, infatti, assolutamente evidente che la categoria concettuale dell’illecito morale non coincide necessariamente con quella dell’illecito giuridico.
Tale coincidenza può – talora – eccezionalmente ravvisarsi solo in relazione a precetti fondamentali e costitutivi della nostra società e cultura (la tutela della vita, la tutela della persona in genere e la tutela del patrimonio, solo per citare quelli maggiormente rilevanti).
Muovendo da questa premessa, appare indiscutibile la circostanza che il consumo esclusivamente personale di sostanze stupefacenti o psicoattive non deve costituire alcuna forma di illecito, neppure di carattere amministrativo.
In questa categoria, ritengo debba rientrare anche la condotta coltivativa di piante di cannabis, la quale, in virtù delle più recenti esperienze forensi di merito e di legittimità (V. da ultimo Cass. Sez. VI n. 33835 30 luglio 2014), appare – ancor più spiccatamente – come azione direttamente propedeutica ad un successivo consumo del coltivatore.
Ritengo, quindi, che si debba prospettare un sistema normativo che comporti l’abrogazione del sistema della sanzioni amministrative (artt. 75 e 75 bis), il quale – al di là delle considerazioni sin qui svolte – si è dimostrato del tutto inefficiente, nonchè ingiustamente e sproporzionatamente punitivo.

Avvocato Carlo Alberto Zaina

Per maggiori info, consulta la stesura completa della Proposta di Legge stupefacenti complessiva

Loading

Pubblicità
Pubblicità
Pubblicità

Di Avvocato Carlo Alberto Zaina

L’Avvocato Carlo Alberto Zaina, nato a Rimini nel 1956, patrocinante in Cassazione e Magistrature Superiori, laureato a Bologna nel 1980, iscritto al foro di Rimini, esercita la libera professione. Cellulare: +39 333 9030931

Un pensiero su “Proposta Legge Zaina: riflessione sulle sanzioni amministrative”
  1. Non sono riuscito a capire in modo chiaro un aspetto.
    In questa proposta di legge si pone l’accento sul metodo di accertamento per “guida sotto effetto di sostanze stupefacenti” basato sul test delle urine?
    Perchè tutti sappiamo che il thc è evidenziabile nelle urine anche dopo 30 giorni dall’assunzione ma è inconcepibile considerare una persona che ha fumato una settimana prima di un controllo come guidatore sotto effetto di sostanze stupefacenti.
    Così vengono colpiti tutti i fumatori occasionali che pur mettendosi “sani” e nelle loro piene facolta psico-fisiche alla guida verrano considerati come pericolosi.
    Mi auguro che questo punto fondamentale sia tenuto in considerazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verified by MonsterInsights