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Per gran parte della storia dell’uomo (e in molti luoghi del mondo è ancora così) l’Economia era sostanzialmente autoproduzione ed il lavoro era finalizzato soprattutto all’autoconsumo, mentre il commercio era residuale.

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Oggi viviamo in una realtà profondamente diversa; quasi nessuno lavora per produrre ciò che consuma e dobbiamo rivolgerci al mercato per soddisfare gran parte dei nostri bisogni.

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Ragionando in termini economici sociali, ciò significa che siamo più dipendenti, cioè meno liberi.

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Ma soprattutto significa che ogni nostra necessità deve essere filtrata dal denaro, unico strumento riconosciuto per accedere al mercato, per aver la possibilità di accedere ad un bene.

Significa anche che siamo stati espropriati di una grande quantità di sapere riguardante le modalità di produzione dei beni di cui ci serviamo; poco sappiamo sulla composizione del prezzo, sulle condizioni di chi l’ha prodotto, sull’impatto sociale e ambientale che ha generato la sua produzione, a chi vengono affidati gli introiti, chi trae vantaggio dalla nostra spesa.

Gli economisti, da parte loro, riconoscono solo il lavoro salariato e non tengono in nessun conto il lavoro domestico ed il “fai da te” nel conteggiato della ricchezza di una comunità, eppure questi ultimi producono valore e benessere, spesso molto più del lavoro salariato.

Ci sono diverse forme già attive che stanno riscoprendo il valore dell’autoproduzione, non solo promovendo una piccola rivoluzione culturale che riconosca la dignità del lavoro non retribuito, ma anche ricreando, all’interno di circuiti di economia informale, nicchie di autoproduzione capaci di soddisfare una fetta consistente di bisogni: i cittadini solidali stanno riscoprendo il gusto, e ritagliando il tempo, per coltivarsi un orto, fabbricarsi piccoli mobili, cucirsi i vestiti, prepararsi il pane e lo yogurt.

Fuggono da un mercato in profonda crisi, sempre meno capace di soddisfare i bisogni essenziali, ma non è solo questo, c’è anche la voglia di riappropriarsi di saperi e conoscenze in via di estinzione, di recuperare la capacità di fare, di manipolare, di vedere nascere dalle proprie mani qualcosa di concreto e reale da contrapporre ad una realtà sempre più virtuale e sfuggente.

Ed anche la volontà di sapere cosa si mangia, cosa si indossa, cosa si porta in casa, con cosa ci si cura, per proteggersi da un’economia che spaccia malessere e dolore a diffusione mainstream.

L’autoproduzione e lo sviluppo di associazioni no profit che possano gestire in loco la produzione del prodotto da consumare porta vantaggi in quanto accorciare le distanze significa soprattutto aiutare l’ambiente.

S’interrompe così quella catena che è nata con la grande distribuzione, che lavora con i grandi numeri, a scapito della riscoperta del rapporto consumatore-produttore.

L’idea di prodotti realmente “a chilometro zero” nel caso dell’autoproduzione, essendo sensibile alla riduzione delle energie impiegate nella produzione e trasporto, oltre a diminuire il tasso di anidride carbonica nell’aria porta ad un uso consapevole del territorio, facendo riscoprire al consumatore la propria identità territoriale attraverso il contatto con la natura, nel caso specifico della Cannabis.

L’autoproduzione è inoltre un modo per opporsi alla standardizzazione del prodotto, che provoca certamente a livello economico un aumento della produttività facendo però perdere la diversità del prodotto finale, e nel caso della Cannabis riducendone l’impatto terapeutico insito nei geni (persino la cosiddetta “gammatura” del prodotto medico altera la struttura molecolare del fiore di Cannabis).

L’autoproduzione è, a livello sociale, un potenziamento della libertà individuale: questo tipo di “economia” aiuta ad aumentare l’autonomia personale ad ampliare le possibilità di socializzazione tra le persone senza seguire sistemi di prezzo o gerarchici.

Inoltre crea più opportunità di collaborazione in organizzazioni che operano al di fuori della sfera di mercato.

Gli individui sono così portati ad esprimere la loro creatività in modo totalmente indipendente dai mass media commerciali, che portano ad instaurare solo legami temporanei.

Il fatto di poter creare delle relazioni fluide e vincolanti fa aumentare il numero delle cooperazioni, creando un incremento della complessità ed eterogeneità dei progetti.

Il vantaggio economico derivante per il consumatore, laddove sia possibile un sistema di autoproduzione, è evidente e molto semplice da sottolineare: il basilare risparmio di denaro, enorme e principale vantaggio per il consumatore-coltivatore, va a sommarsi alla possibilità di utilizzare il denaro risparmiato in altre attività, partecipando comunque al PIL italiano, che è la maggiore preoccupazione per i nostri economisti.

Ma si tratta anche di una questione pratica oltre che economica: l’autoproduzione produce una garanzia di qualità e di non manipolazione del prodotto finale coltivato.

E per capire il perchè questa certezza, purtroppo, non può essere garantita dalla grande distribuzione, basta guardare l’esempio canadese:

Un PERICOLOSO PESTICIDA è stato rinvenuto sulla cannabis coltivata e commercializzata in COLORADO da una ditta autorizzata alla produzione.

Si tratta del secondo caso in poco tempo, dopo quanto già emerso in merito alla “medical cannabis” coltivata in Canada con pesticidi della Monsanto e denunciato da un attivista canadese in un articolo da noi tradotto (vedi: Monsanto and Health Canada Cannabis).

In Colorado i controlli hanno funzionato, sarebbe così anche in Italia?

Le cronache ci avvisano spesso di frodi alimentari su merci molto meno redditizie, dall’olio di oliva con dentro di tutto alla mozzarella alla diossina e molto altro ancora. Ricorderete il caso eclatante del vino al metanolo, ritirato su ordine della magistratura nel 1986, ma solo dopo le 23 vittime e i gravissisi danni neurologici o la cecità che purtroppo provocò in molte più persone.

I pesticidi sono pericolosi anche sulle verdure e la frutta, merci molto meno “preziose” della cannabis, venduta al grammo anziché al litro, come i vini, oppure al chilo, come gli ortaggi, che però almeno possono essere lavati, a differenza delle infiorescenze femminili di Cannabis che se fumate non passano per la catena digestiva ma arrivano direttamente al sangue attraverso gli alveoli polmonari.

Non è assolutamente possibile ignorare, poi, l’aggravante data dal fatto che noi che NON sappiamo cosa può provocare la combustione e l’inalazione dei vapori di pesticidi, che anche ingeriti sono tossici, quando fossero usati sulle infiorescenze femminili di cannabis.

Considerando quindi che, in spregio della altrui salute, la storia ci insegna quanto sia pericoloso il miraggio del profitto, proporzionalmente più diffuso in relazione al valore della merce stessa, chi potrebbe sentirsi tranquillo ad acquistare cannabis coltivata e commercializzata in questa nuova corsa all’oro? Chi potrebbe affermare che per evitare di veder danneggiato un ricco raccolto i beneficiari del monopolio non userebbero agenti chimici letali in un paese che non è nè il Canada e neanche il Colorado, dove gia ora e molto spesso, per inseguire facili guadagni si avvelenano anche merci molto meno care?

L’unica cannabis sicura e di qualità garantita è quella che ci si coltiva da soli: autoproduzione unica soluzione.

A tutte queste motivazioni economiche si vanno ad aggiungere motivazioni puramente sociali: E’ recente scoperta della scienza che far crescere un essere vivente vegetale possa portare elevati benefici e che possa essere una vera a propria terapia per la psiche (Plant Terapy).

Inoltre coltivare diverse genetiche (Indica-Sativa-Ruderalis), permette di soddisfare al meglio il proprio sistema endocannabinoide, che è diverso da persona a persona, trovando le genetiche più adatte alle proprie esigenze. Nella cannabis si trovano circa 120 terpeni, 60 terpenoidi e 20 flavonoidi, sostanze volatili responsabili degli aromi e degli effetti psicoattivi (agendo in sinergia fra loro), che in differenti concentrazioni determinano anche i diversi aromi oltre che i diversi effetti terapeutici; L’autosufficienza personale permette una diminuizione del consumo collettivo e l’assunzione corretta nella posologia e nella tipologia, ossia la possibilità di scelta della qualità più indicata al bisogno.

Qualora dovesse passare un legge che non tuteli adeguatamente l’autoproduzione, non ci rassegneremo alla beffa di dover comprare in un regime di monopolio e ai loro prezzi, solo le varietà imposte dalle multinazionali con le loro tecniche di coltivazione, consci che il monopolio è appunto appannaggio degli amici degli amici e solo per loro.

Ossia, chi ne sarà fuori e deciderà per l’autoproduzione, continuerà a finire in galera, com’è sempre accaduto e accade in tutto il mondo laddove le mafie devono difendere i loro interessi.

Le guerre le fanno sempre i governi contro i popoli, tutti i popoli, interni ed esterni, per garantirsi grossi introiti economici: il proibizionismo è il classico esempio di collusione tra governi e mafie.

Un esempio di queste contraddizioni è già presente nell’attuale legge che regolamenta la cannabis:

  • In Italia, per legge, se acquisto Cannabis dal mercato nero, ingrassandolo e alimentandolo, sono sanzionabile amministrativamente con ritiro patente, segnalazione, Sert e ritiro documenti, mentre se coltivo per uso personale, contrastando il mercato nero e la criminalità organizzata, vengo sanzionato penalmente (da 2 a 6 anni di reclusione): lo Stato incita il consumatore a rivolgersi al mercato nero, favorendo le narcomafie?
  • In Italia il consumo di cannabis è depenalizzato, ma se coltivo per consumare vengo punito penalmente. Come è possibile avere cannabis, e quindi consumarla, se non la posso coltivare? Anche in questo caso lo Stato preferisce che il consumatore si rivolga alle narcomafie, tutelandone il consumo ma non l’autoproduzione?
  • La Cannabis, come detto, ha numerose qualità terapeutiche ma viene usata solo per il 5% dei disturbi per cui potrebbe essere utile terapeuticamente: inoltre i costi elevati, sia per il SSN che per il Paziente, ne limitano l’approvvigionamento tramite strutture sanitarie ed aziende private (da 26 a 37 euro al grammo per il Bedrocan° ): autorizzando l’autoproduzione di cannabis per uso personale si potrebbero superare queste problematiche, anche avanzando la ricerca della migliore qualità genetica adatta alla terapia del paziente, abbassando i costi, migliorando gli accessi alla cura, aumentando il valore terapeutico della pianta di cannabis.

 

Ed ecco che con queste ultime riflessioni, andiamo a centrare il punto del perchè noi, come Associazione FreeWeed, siamo favorevoli all’autocoltivazione personale e lottiamo per liberare questa condotta:

La cannabis è una pianta, un dono della natura. Da sempre è riconosciuto a ciascuno di poter autoprodurre i propri alimenti e prodotti per uso e consumo personale anche quando questi sono inebrianti, nel rispetto di normative disciplinari eventuali; reclamiamo questo diritto per i consumatori e coltivatori di cannabis. E’ un Diritto del cittadino poter eseguire una condotta disciplinare che non danneggia terzi né la società nel suo complesso, oltre ad essere l’unica vera pratica in grado di debellare il mercato nero e la distribuzione illecita.

 

Per noi, dunque, una vera ed efficace riforma normativa sulla cannabis DEVE necessariamente essere costruita sulla base del Diritto all’Autoproduzione personale scritto in legge.

 

Associazione FreeWeed

 

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